Esaurimento , Depersonalizzazione e calo dell'autostima , la sindrome che colpisce gli universitari

Attualmente si usa il termine Burnout per richiamare l’attenzione su le possibili conseguenze dello stress lavorativo soprattutto nelle helping professions. L’insorgenza della suddetta sindrome sarebbe determinata dalla mancanza di tempo libero, da orari e turni estenuanti, da un carico emotivo eccessivo, dalla percezione di un senso di impotenza (ovvero, non riuscire ad influire sull’esito di un evento), quando viene a mancare un senso di sostegno sociale all’interno dell’ambiente lavorativo (come per esempio non è presente nessun tipo di cooperazione tra colleghi) e mancanza di equità nel contesto lavorativo, da questioni che riguardano l’identità professionale e/o personale e, infine, da preocupazioni economiche e dall’incapacità di equilibrare la vita professionale con le esigenze personali.

Questa sindrome determina un calo nella motivazione e nella soddisfazione lavorativa, un calo nell’impegno lavorativo, atteggiamenti negativi verso i clienti/pazienti, verso sé stessi e verso la vita in generale, un peggioramento della qualità di vita personale e delle proprie condizioni di salute, alienazione nella famiglia e nelle relazioni sociali, insoddisfazione nella vita coniugale, frequenti assenze dal posto di lavoro e un calo della performance lavorativa.
In particolar modo, il modello proposto da Cristina Maslach ha definito le tre dimensioni predominanti in questa sindrome. Esse sono:
  • Esaurimento emotivo ovvero sentimento di stanchezza, il sentirsi svuotato di ogni tipo di energia sia fisica che psichica;
  • Depersonalizzazione ovvero perdita di ogni atteggiamento positivo verso se stesso, verso il mondo e verso gli altri;
  • Mancanza di realizzazione professionale ovvero sentimenti di frustrazione, rabbia, calo di autostima e desiderio di cambiare o di abbandonare il lavoro.
 La domanda che ci poniamo è questa: «è possibile osservare ed evidenziare una Sindrome da Burnout negli studenti universitari»?

 Bene, osservando un po’ da vicino la popolazione studentesca ci potremmo accorgere che quasi la maggior parte di essi, man mano che proseguono i loro studi, vanno incontro ad un calo di motivazione e di interesse in ciò che fanno. Questo probabilmente potrebbe essere determinato da un rapporto non soddisfacente con i propri colleghi o con i docenti, dalle valutazioni che sembrano poco “idonee” alla preparazione dello studente (“paura da voti bassi”), dalle lezioni che la maggior delle volte vengono ritenute passive e noiose perché ripetitive e così via.
Ciò potrebbe essere tranquillamente dimostrato se si osservasse la differenza tra un giovane studente universitario ed uno che frequenta il quarto o l’ultimo anno degli studi universitari. Il primo è entusiasta e voglioso di intraprendere i suoi studi, i suoi esami. Il secondo, invece, ha voglia solo di concludere quanto prima e forse avverte anche un po’ di paura, scoraggiamento, per ciò che ha compiuto fino a quel momento. Fondamentalmente questo tipo di studente è stanco di seguire lezioni con orari improponibili ed è stanco di ricevere magari qualche voto basso e quindi dover ripetere l’esame fino all’esaurimento!
E se consideriamo quei ragazzi che possiedono già una laurea, ma che sono “costretti” ad intraprendere un nuovo corso di studi poiché non riescono a trovare un lavoro e vivono in una condizione di estrema precarietà?
Sicuramente saremo un po’ tutti portati a pensare che essi soffrono almeno un po’ di burnout. Ovviamente inteso nei termini di fatica, di indifferenza e quasi distacco dagli studi, di insofferenza generale che inevitabilmente si riversa nell’ambito delle relazioni sociali.
Dunque, parliamo di una sensazione di esaurimento per le esigenze di studio, un atteggiamento cinico e distaccato verso i propri studi e soprattutto la sensazione di sentirsi uno studente incompetente.
Negli ultimi anni alcuni studiosi hanno tentato di effettuare questo tipo di misurazione. In particolare Wilmar B. Schaufeli et al.[1] nel 2002 hanno apportato delle modifiche al tradizionale Maslach Burnout Inventory per poterlo utilizzare nelle Università; per esempio, la domanda «Mi sento emotivamente svuotato dal mio lavoro?» è stata cambiata in «Mi sento emotivamente svuotato dal mio studio?» e così dicendo. Con questo studio si è cercato fondamentalmente di validare un test che misurasse il burnout negli studenti universitari. Invece, nel 2007 Juliana Inhavser Riceti Acioli Barbozza e Ruth Beresin[2] hanno indagato i livelli di Burnout in 102 studenti della Facoltà di Infermieristica dell’Università brasiliana, dimostrando che il 76% degli studenti riporta alti livelli di riduzione nella realizzazione professionale, il26,46% riporta livelli di esaurimento emotivo e il 29,40% di depersonalizzazione.
Concludendo, potremmo estremizzare dicendo che è possibile l’insorgenza della sindrome da burnout negli studenti universitari e che molto spesso essa provoca un calo di motivazione che indurrebbe gli stessi ad abbandonare gli studi universitari, andando in questo modo ad incrementare il tasso d’abbandono che nella nostra società è già abbastanza elevato. Inoltre, credo che sarebbe auspicabile condurre delle ricerche sistematiche nelle università italiane che testino i livelli di burnout tra gli studenti per poter prevenire l’abbandono degli studi e il calo di motivazione, riducendo la frustrazione negli studenti e incrementando il loro benessere. Inoltre in questo modo si andrebbe a produrre più consapevolezza negli stessi e forse si otterrebbero studenti più preparati anche nella futura professione.

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